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Guido Carocci e la Galleria della Collegiata di Empoli

La Pieve Collegiata di Sant’Andrea a Empoli è l’edificio più interessante e più artisticamente pregevole dì quell’ampia e popolosa terra che fu un giorno emporio del commercio fiorentino.

Sorta nel 1093, serba di quel tempo lontano la parte inferiore della sua facciata., rivestita di marmi bianchi e neri di uno stile identico a quello della Basilica di San Miniato al Monte, di San Salvatore del Vescovo, della Badia Fiesolana e, si può aggiungere, del Battistero di Firenze, fabbriche tutte che sorsero o vennero ridotte in quello stesso tempo.

Le artistiche vicende svoltesi in un lungo periodo di anni trasformarono siffattamente la maggior chiesa di Empoli, che, se ne togli quell’antica parte della facciata, nulla è sfuggito alla manìa di modernità che nel XVII e nel XVIII secolo specialmente si rovesciò contro i nostri monumenti più antichi.

E fu grazia se dall’impeto di questa violenta fiumana poterono sfuggire le numerose opere d’arte che nel volger dei secoli si erano raccolte in quella chiesa. Ma anch’esse erano state in gran parte bandite dagli altari e dalle pareti del tempio, per dar posto ad altre opere più moderne e più confacenti a quel carattere barocco, a quel gusto esuberantemente sfarzoso, al quale s’ispirava l’interna decorazione della vecchia Pieve. E così, i severi trittici giotteschi, le belle ancone del Quattrocento, giacquero abbandonate e ignorate nelle sagrestie, nelle stanze del Capitolo, nei corridoi e perfino nei magazzini.

Furono pertanto queste opere sparse e per lunghi anni pressoché dimenticate che costituirono il nucleo, la base fondamentale della Galleria che oggi è degno corredo alla Collegiata e che costituisce la maggiore delle attrattive per il forestiero che visita la storica e opulenta terra.

L’origine della raccolta rimonta all’anno 1860.

Con deliberazione del 29 giugno 1859 il magistrato della venerabile Opera di Sant’Andrea d’Empoli deliberava il restauro e l’ingrandimento della chiesa Collegiata, chiedendo a tal uopo un sussidio dal Governo provvisorio. S. E. il ministro degli affari ecclesiastici, cav. Avv. Vincenzo Salvagnoli, empolese, concedeva un sussidio di L. 5040, all’oggetto più specialmente che venissero impiegate nel restauro dei monumenti d’arte esistenti nella chiesa. Quel magistrato, con lettera del 13 febbraio 1860, ringraziava il ministro, assicurandolo di aver già designato un locale adatto a raccogliere a guisa di galleria i quadri che non era possibile tener nella chiesa, e il locale scelto fu l’antica cappella di San Lorenzo, situata a contatto e di fianco alla chiesa.

Colà vennero difatti riuniti tutti gli oggetti sparsi nell’ampio fabbricato contiguo alla Collegiata; ma se si eccettua il fatto di aver per la prima volta pensato a dotare il paese d’una Galleria, non si potrebbe dire che il nobile pensiero avesse subito il suo compimento. Scarsa e inadatta era la luce che penetrava nell’ambiente, l’umido ne invadeva le pareti, e l’ordinamento degli oggetti restò lungamente un pio desiderio. Diversi anni dopo, alle opere d’arte possedute dalla Collegiata vennero ad aggiungersi molti altri oggetti provenienti dalle chiese soppresse, e anche i privati, lusingati dall’idea di vedere il paese arricchito d’una Galleria, offersero in dono le opere d’arte che possedevano;1 allora alla cappella di San Lorenzo si aggiunse un altro ambiente, più opportunamente costruito, meglio provvisto di luce. Si poterono quindi distender meglio i molti dipinti in tavola e in legno, si murarono nelle pareti parecchie opere di terra cotta, delle sculture, e la Galleria fu aperta al pubblico.

Ma ad un ordinamento cronologico degli oggetti, alla loro collocazione in condizioni più favorevoli di luce e di distanza, alla riparazione dei danni più gravi e più pericolosi che gli anni e il secolare abbandono avevano arrecato alle vecchie tavole soprattutto, non si pensò che nel 1894.2

E devesi lode sincera all’Opera di Sant’Andrea, e in modo speciale al di lei presidente, proposto dott. Gennaro Bucchi, se il voto ripetutamente espresso dagli artisti e dagli studiosi dell’arte, di veder cioè dato un assetto più conveniente alla cospicua collezione, potè esser tradotto in atto.

Le riparazioni più essenziali atte ad arrestare l’opera deleteria del tempo, a togliere meglio che fosse possibile le tracce di un abbandono deplorevole che durava da secoli, furono eseguite sotto la sorveglianza d’un ufficiale governativo, osservando scrupolosamente le norme che regolano questa specie di restauri, e poi, separate le opere di scultura, che prima erano frammiste alle pitture, si vennero a disporre i dipinti per ordine di tempo, raccogliendo nella nuova sala le opere più antiche e disponendo nella cappella di Sant’Andrea quelle dei periodi successivi.

Sculture e terre cotte costituiscono una sezione speciale, e un’ampia vetrina racchiude un considerevole numero di libri corali miniati.

Questa la storia della Pinacoteca empolese.

Vediamone ora l’importanza artistica.

La Pinacoteca ha soprattutto un pregio inestimabile, che dovrebbe portare un largo contributo alla coltura locale. I sessantanove oggetti che la compongono rappresentano non solo i diversi rami dell’arte ne’ suoi periodi più brillanti, ma, in quanto si riferisce soprattutto alla pittura, essi ne descrivono chiaramente e largamente le vicende, lo sviluppo le trasformazioni, le fasi principali. E l’arte fiorentina, anzi l’arte toscana addirittura, illustrata da un corredo d’esempi di valore indiscusso, che dalla forma convenzionale e gretta dei Bizantini riceve il primo alito della vita reale con le opere di Giotto e dei Gaddi, che attraversa quel lento ma continuo periodo dì transizione per giungere alle meraviglie di un realismo idealizzato dal sentimento religiosa con le opere del Botticelli, del Lippi, de’ seguaci del Ghirlandaio, che percorre un nuovo periodo dì forme e di manifestazioni grandiose, carezzate dagli splendori del colore per opera de’ seguaci di Andrea Del Sarto, per declinare e illanguidire poi in mezzo alle stravaganze dei barocchi e alla grettezza del classicismo.

Di fronte alla esuberante ricchezza di produzione degl’infiniti maestri della scuola toscana, si potrebbe dire che la collezione empolese è come un sunto, un ristretto dell’artistico svolgimento; ma c’è in essa tanta dovizia di esempi, tanta parte degna di ammirazione, da far nascere la speranza che essa possa ispirare in chi è preposto all’insegnamento il desiderio d’indirizzare, sulla scorta di questi esempi, i giovani nello studio della storia di quest’arte che fu tanta parte della vita intellettuale del paese nostro, che fu la più serena delle nostre glorie.

Ma ben altre preziose qualità presenta questa raccolta per lo studioso dell’arte toscana.

Di quel periodo interposto fra Giotto e i primi albori del Rinascimento c’è larga dovizia di originali che segnano e delimitano le varie diramazioni della scuola giottesca e ne seguono l’andamento convergente poi a quello stesso periodo nel quale lo studio profondo e intimo del vero si sostituisce alla monotona freddezza del convenzionale.

Il Botticelli e la sua scuola si presentano con esempi gagliardi ed anche con rivelazioni nuove o per lo meno assai poco note e meno studiate. I due Botticini, padre e figlio, per esempio, artisti vigorosi e potenti, che sarebbero emersi come maestri di merito singolare se la fama e l’abilità loro non fosse stata confusa e offuscata dallo splendore dei sommi artisti loro contemporanei, non possono esser meglio e più profondamente studiati che nelle opere loro comprese in questa raccolta.

Preziosi elementi offre la Pinacoteca empolese per lo studio di un altro periodo dell’arte toscana: quello che deriva da Andrea Del Sarto. Jacopo Chimenti da Empoli o il Cigoli (Lodovico Cardi), disegnatori potenti, coloristi gagliardi, che tengono testa vittoriosamente alla marea invadente del barocchismo, che sentono ancora e traducono con profondo sentimento le impressioni del vero, debbono esser soprattutto studiati in questo suolo dov’ebbero i natali e dove lasciarono alcune delle più potenti impronte del loro artistico ingegno.

La Collegiata di Sant’Andrea ha recato alla Galleria un largo contributo di dipinti giotteschi; ancone e frammenti di trittici che ornavano forse i primitivi altari di quella chiesa, e diversi altri dipinti della stessa scuola sono pervenuti dal soppresso convento di Santa Croce delle Benedettine. Tra le opere di massima importanza va ricordato anzitutto un gradino di tre storiette, attribuito a Taddeo Gaddi, avanzo certamente di qualche stupenda tavola scomparsa in epoca lontana dalla Collegiata: forse l’esame di certi particolari porterebbe a modificare l’attribuzione, perché alcune figure hanno forme più moderne ed evocano la maniera dì un altro artista di alto valore ma ben poco noto: Pietro Nelli, l’autore della celebre ancona della Pieve dell’Impruneta.

Numerose opere, appartenenti a questo stesso periodo artistico, possono attribuirsi ad Agnolo Gaddi e a quella pleiade di discepoli e di compagni d’arte che profusero le opere loro in ogni parte della nostra regione, mentre non poche altre ve ne sono di secondari artisti dì scuola senese, predecessori di Taddeo di Bartolo.

Speciale attenzione merita un’ancona proveniente dall’antica Pieve di San Giovanni a Monterappoli; ma le intemperie alle quali è stata lungamente esposta han fatto quasi perdere molte parti di un’opera che in certi particolari richiama la mente alle cose di Domenico Veneziano.

Dove i dubbi intorno all’attribuzione mi sembrano minori è nell’ancona (n. 20) che ha nello scompartimento mediano Nostra Donna seduta col Bambino Gesù in grembo e negli spartiti laterali San Giovanni Battista e San Domenico, San Pietro apostolo e Sant’Antonio abate. In quelle figure quiete, serene, piene dì misticismo, in quelle pieghe studiate, uniformi, in quel colorito calmo nella massa, vivace in certi punti, io ci vedo tutta la maniera di Lorenzo monaco degli Angeli; né l’opinione mia è in questo contraddetta dalla data 1404, che si legge a piè del dipinto, sapendosi come il gentil dipintore, morto nel 1425, fosse nel tempo indicato nel dipinto nel periodo più ferace della sua artistica produttività.

Per le identiche ragioni io gli attribuirei anche i due laterali di un’altra ancona (n. 21), nei quali sono effigiate le figure in piedi dei Santi Giovanni Evangelista e Caterina, e Giovanni Evangelista e Agostino.

L’uno e l’altro di questi dipinti provengono dall’antica Pieve di Empoli.

Piccolissima di proporzioni (m. 0,44 X 0.34) è una tavoletta nella quale, condotte con un gusto squisito e con una fattura delicatissima, sono le figure di Gesù Cristo in trono, di un santo monaco, di un. santo diacono, dell’arcangiolo Michele, dell’apostolo San Bartolommeo, della Vergine e di due angeli. Il concorde giudizio di alcuni critici d’arte l’ha attribuita fino a quest’ultimi anni a Masaccio; più recentemente altri vi hanno trovato piuttosto la caratteristica propria di Masolino da Panicale, né io troverei elementi validi per combattere quest’asserzione, tanto più che della maniera di quest’artista è anche un affresco scoperto nel Battistero annesso alla Collegiata d’Empoli. La tavoletta (n. 24) fu donata alla Galleria dal signor Carlo Romagnoli,

Ed eccoci ad un altro dipinto controverso (n. 25). le due tavole che riunite insieme formano l’Annunziazione. Generalmente l’hanno attribuite al Botticelli: altri invece v’hanno trovato piuttosto elementi per ritenerla di Filippino Lippi; taluno infine ha fatto il nome di Domenico del Ghirlandaio. Per me è da escludersi l’ultima supposizione; restano le due altre giustificate dal fatto che nell’Angiolo sono evidenti certe vigorose caratteristiche del disegno proprie del Botticelli, mentre nella dolce e soave figura della Vergine seduta par di rivedere una delle più gentili concezioni di Filippino, al quale, per altre considerazioni di fatto io propendo ad attribuire l’intero dipinto.

Il capolavoro della Galleria empolese è indubbiamente l’altare o, meglio, dossale che in una nicchia centrale accoglie la vaghissima figura giovanile di San Sebastiano, una delle più belle opere scultorie di Antonio Gamberelli detto il Rossellino, al quale appartengono pure i due angeli inginocchiati che stanno sopra alle cornici delle due tavole laterali, dove Sandro Botticelli ritrasse con mano maestra due angeli in piedi in atto d’adorazione. Di mano differente sono le quattro storielle del gradino, che io attribuirei a Francesco Botticini. Pregevole è la fattura dell’ornamento di legname intagliato, che è del fiorentino Cecco Bravo. Le partì dipinte furono abilmente riparate dal valentissimo Domenico Fiscali.

Al Botticelli è attribuita anche una tavoletta (n. 28) con sette angeli che danzano e suonano strumenti, una pittura ricca di qualità squisite, ma guasta dai restauri.3

Un’altra opera grandiosa è il tabernacolo o dossale che fu fatto fare nel 1504 per la cappella del Sacramento nella stessa Collegiata d’Empoli. La parte ornamentale di legno è del medesimo Cecco Bravo che fece l’altare di San Sebastiano. La nicchia centrale, dov’era il ciborio, è vuota, ed è posta in mezzo a due tavole sulle quali sono dipinte lo figure in piedi di Sant’Andrea e San Giovanni Battista. Nel gradino sono cinque storie di piccole figure allusivo alla vita di Gesù Cristo e dei due santi effigiati nelle tavole.

Di questo tabernacolo si conosce la storia, tratta dai documenti dell’archivio dell’Opera di Sant’Andrea. Esso fu commesso nel 1484 a Francesco di Giovanni Botticini, pittore fiorentino, e compiuta, dopo la morte di lui, dal figlio Raffaello.4

II Botticini era discepolo di Sandro Botticelli, e, pur seguendo le tracce dell’arte del maestro, aveva saputo farsi uno stile proprio, grandioso nel disegno, ardito e franco, forte e vigoroso nei contorni, vivace e gagliardo nel colorito. Di lui, oltre al tabernacolo, è certo il gradino dell’altare di San Sebastiano.

Raffaello Botticini lavorò molto col padre, e ne seguì la maniera; ma egli pure volle crearsi uno stile proprio, e nelle opere, pur allontanandosi alquanto dalla vigoria, talvolta dura, che è una delle caratteristiche delle opere di Francesco, si accosta alle forme delicate e gentili che traggono le ispirazioni dalla scuola del Ghirlandaio, oltre che dalla scuola umbra.

A Raffaello furono commesse altre due tavole per la Collegiata di Empoli; una di esse è perduta; l’altra fu trasportata a Firenze, andò in Galleria, e per lungo tempo passò come opera di Raffaellino del Garbo, tanto il fare del Botticini si avvicinava a quello dell’altro pittore omonimo.5

Ma in compenso di queste due tavole, io ho potuto ritrovare nella collezione della Galleria empolese due altre tavolette (metri 1,53 X 0,68), che stavano in origine in una delle cappelle della Collegiata stessa. Nella prima è San Girolamo, figura in piedi seminuda, con un brano di stoffa grigia legata ai fianchi; da un lato giace per terra un leone e dall’altro lato vedesi un libro aperto. Nell’altra tavola è dipinto San Sebastiano legato ad un albero. Intercalate in una specie di laude scritta nel libro che giace aperto per terra, accanto a San Girolamo, sono le iniziali O. R. F. e la data MCCCCC. Le lettere sono indubbiamente le iniziali del nome di Raffaello Botticini, il quale trovasi ricordato nei vari contratti fatti per l’esecuzione delle diverse opere per la Collegiata di Enipoli come Raffaello di Francesco o Raffaello Fiorentino, talchè le tre lettere significano molto probabilmente Opus Raffaellis Francisci.

Una tavoletta (n. 32), attribuita a Giuliano d’Arrigo detto Pesello ha piuttosto qualità per essere attribuita alla maniera di Lorenzo di Credi.

A Fra Bartolommeo si attribuisce tradizionalmente un affresco dipinto di chiaroscuro che era già sull’esterno di una casa dei Del Frate, e che rappresenta la Vergine col Bambino Gesù; e derivante pure da Fra Bartolommeo, con reminiscenze del fare del Franciabigio, è un’ancona d’altare (n. 38) assai guasta e decolorata.

Di Jacopo Chimenti, detto l’Empoli, sono due fra le migliori tavole, una colla data 1602, l’altra colla data 1604, ed in esse si rivelano ampiamente le belle qualità di quel coloritore gaio, di quell’artista fantasioso ed originale nelle sue composizioni.7

Altre due tavole, pur esse ricche di pregi, possiede la Galleria, di Lodovico Cardi detto il Cigoli, opere ricche di pregi non comuni,8 e dello stesso periodo artistico sono notevoli per qualità apprezzabili altri dipinti del Morandini da Poppi,9 di Matteo Rosselli, del Macchietti, del Vannini.

Non molto ricca è la sezione di scultura; ma a darle importanza basterebbe la statua stupenda di San Sebastiano, di Antonio Rossellino. Le tien dietro per artistica importanza uno schiacciato rilievo che rappresenta la Vergine col Bambino Gesù, opera di delicata fattura e ricca di sentimento gentile, attribuita, non a torto, a Mino da Fiesole.

Così pure è ricca di artistiche bellezze una grandiosa pila da acqua santa che volgarmente si suoleva attribuire a Donatello da chi non si curò di leggere nemmeno l’iscrizione che la dice opera eseguita nel 1557 da Battista figlio di quel Donato Benti, valentissimo scultore fiorentino, che fece le sue opere migliori a Pietrasanta insieme cogli Stagi.10

Ricca, variata e di singolarissimo interesse è la raccolta di opere in terra cotta.

Vi manca un originale di Luca, per quanto al sommo maestro fiorentino si suolesse attribuire una Vergine col Bambino Gesù, gruppo di tutto rilievo, mutilato di alcune parti, che stava già sulla facciata del Palazzo Pretorio; ma Luca della Robbia morì nel 1482, e nell’iscrizione dipinta nel basamento della statua della Vergine si legge che l’opera fu eseguita nel 1518, quando a capo dell’officina robbiana si trovava Andrea, nipote di Luca.11

Dello stesso Andrea è un bel tondo di terra cotta invetriata con una vigorosa mezza figura dell’Eterno Padre. Fa parte pure della raccolta un altro tondo d’invetriato che ha caratteri della scuola di .Luca; ma è una riproduzione alquanto fiacca e di fattura piuttosto grossolana.

Di maggiore interesse sono due grandi bassorilievi a forma di tavola d’altare, provenienti dalla chiesa francescana di Santa Maria a Ripa presso Empoli, dov’era larga dovizia di opere congeneri.12 In uno è Sant’Anselmo vescovo, seduto in mezzo ai Santi Stefano e Giuliano ed alle Sante Caterina e Rosa da Viterbo. Nell’altro, invece, è la Vergine col Bambino, fra Sant’Anselmo e Sant’Agostino. Entrambe le tavole poi sono fornite d’un gradino con piccole figure di santi. Esse appartengono al periodo nel quale erano a capo dell’officina robbiana Andrea e il figlio Giovanni, ed hanno varietà di colori invetriati.

Completano poi la collezione delle Robbie un tabernacolo composto di varie partì ornamentali, alcune modellate di bassorilievo, altre semplicemente dipinte, e dei frammenti d’un impiantito formato di mattonelle dipinte ed invetriate.

Un’altra tavola d’altare, di terra cotta colorita, senza invetriare e modellata di altorilievo, che proviene pure dalla chiesa di Santa Maria a Ripa, è attribuita a Giovanni Gonnelli, più noto per il soprannome di Cieco da Gambassi; ma non sono perfettamente persuaso dell’esattezza dell’attribuzione. È abitudine inveterata di attribuire a quell’artista, il quale sarebbe stato d’una produttività sorprendente, tutte le opere di terra cotta colorita che mancano della vetrina adoperata dai Della Robbia, mentre è evidente che moltissime delle cose così battezzate hanno forme e caratteri che riportano ad un’epoca e ad una maniera anteriori e differenti da quello del Cieco. E tra le opere dubbio io metterei anche questa.

Di oggetti di metallo la raccolta empolese non contiene che una croce di rame bulinata di fabbrica fiorentina del XIV secolo.

Abbastanza ricca è la raccolta di libri corali miniati, e tra questi alcuni debbono essere usciti da quella specie di officina di miniatori che nel XV secolo esisteva a Firenze nel convento degli Angeli; due di questi corali hanno mini che ricordano la maniera di Gherardo di Giovanni, ed uno poi ve n’è firmato da un Bernardo di Pietro da Prato, ignoto dipintore di libri del XVI secolo.

Ecco così accennate brevemente le cose che più specialmente sono destinate a suscitare l’interesse del visitatore dì questa collezione, che non può certo sfuggire alla benevola attenzione degli studiosi dell’arte toscana.

La costituzione di questa Galleria, alla quale la Collegiata empolese ha recato il contributo maggiore, non ha, del resto, spogliato l’antica chiesa di tutte le opere d’arte che l’adornavano, perché vi rimangono alcuni oggetti che possono considerarsi come degno complemento dell’interessante raccolta già descritta. Ad un altare, per esempio, è una tavoletta di maniera assai antica, che rappresenta la Vergine col Bambino Gesù. Si sa dal Vasari che Cimabue dipinse alcune cose per la Pieve di Empoli; ma gli annotatori non seppero indicarne alcuna. Anzi il Milanesi afferma addirittura che nessuna delle opere di pittura esistenti nella Collegiata è dai tempi di Cimabue. Ora, se non si può pronunziare un giudizio preciso sopra ad un’opera deteriorata dal tempo e guasta da restauri, credo che non si possa nemmeno escludere a priori che questa tavoletta possa essere anteriore al 1302, l’anno nei quale si afferma che sarebbe morto quell’austero maestro fiorentino.

Dei frammenti di un affresco Giottesco, una tela firmata da Jacopo Ligozzi, un affresco botticellesco, una pila da acquasanta che ricorda assai la maniera del Benti, un singolare ed originalissimo leggìo di bronzo del XV secolo, sono pur degni dell’osservazione degli amatori dell’arte.

Nella cappella del Battistero, poi, meritano d’essere ricordate: un affresco murale, che ha tutti i caratteri delle cose di Masolino da Panicale, due buone statue di legno colorito del XIV e XV secolo, ed un fonte battesimale di marmo, di forma elegantissima e di fattura squisita, che ha caratteri donatelleschi e che fu forse scolpito da qualche abile discepolo del grande maestro fiorentino o del compagno suo Michelozzo.13

Da questo fugace e rapido esame, appare evidente come Empoli e la sua Collegiata siano forniti d’un patrimonio artistico tutt’altro che insignificante, ed è certo confortante il vedere che attraverso a tante vicende, a periodi tristissimi, nei quali il culto dell’arte antica apparve, più che sopito, moribondo, un numero così rilevante di oggetti per ogni riguardo pregevolissimi, sia giunto fino a noi in condizione da giustificare il nobile intento dì coloro che vollero dotare l’industriosa terra di una Pinacoteca degna d’una cospicua città.

Note

1 Degli oggetti della Pinacoteca, quarantaquattro provengono dalla Collegiata, dai suoi annessi e dall’Opera di Sant’Andrea, quattro dalla chiesa delle Benedettine di Santa Croce in Empoli, quattro da quella di Santa Maria a Ripa, tre dal Comune, dieci da privati, tre da altre chiese, ecc.

2 I lavori di riparazione e di riordinamento della Pinacoteca furono fatti sotto la direzione dell’estensore di questa memoria.

3 Fu donata dal signor Carlo Romagnoli. Il fondo di ciclo amarro è moderna-mente ridipinto ed ha in qualche punto lambito i contorni delle rigare producendo inoltre una dissonanza sgradevole ne1 colorito generale.

4 Francesco di Giovanni Botticini nacque nel 1446 e morì nel 1497. Nel maggio del 1484 egli ebbe la commissione di eseguire una tavola con ornamenti e ciborio per l’altar maggiore; ma non condusse mai a termine il lavoro, tanto che ne insorsero gravi liti. Morto il Botticini, i committenti fecero nel 1504 un nuovo contratto col figlio di lui, Raffaello, il quale esegui il lavoro nei termine prescritto e in modo degno di lode.

5 La prima di quelle tavole fu commessa a Raffaello Botticini dagli uomini della Compagnia detta della Veste Bianca, che si radunava nella Pieve, e doveva rappresentare Nostra Donna con Gesù Bambino ed i Santi Andrea e Giovanni Battista, Restò compiuta nel 1506.

La seconda tavola, che è in Galleria a Firenze e che fu eseguita nel 1506, gli era stata commessa da un’altra Compagnia, che si radunava nella stessa Pieve e che era chiamata della Veste Nera.

6 Jacopo Chimenti, da Empoli, nacque nel 1551 e morì nel 1640. La prima delle due tavole, che era già in una cappella della Collegiata, porta in basso questa iscrizione: Jacopo Empoli 1602. La seconda era su di mi altare della chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani in Empoli, e fu trasportata in Galleria nel 1894. Ha nella parte inferiore l’iscrizione: Jacopo di Chimenti da Empoli1604

7 Delle due tavole del Cigoli (nato nel 1559 e morto nel 1613), una era nella cappella del Sacramento in Collegiata; vi si legge in basso: Lud.Cardus f.a.D. 1591. Una era nella chiesa di Santa Croce delle Benedettine, oggi distrutta, e ha in basso la sigla L.C. e la data 1594.

8 La tavola ritenuta del Morandini, detto il Poppi, era in Collegiata e passava come opera di Andrea del Sarto.

9 L’equivoco intorno all’attribuzione era certamente originato da chi si era limitato a rilevare il nome di Donalo senza por mente alla data. L’iscrizione è la seguente: Johañes Andreas Alexandri Zucherin. Emporésis posuit die XVI junii a D. MDLVI1- Baptista Donati de Bẽti flor.c. debat.

10 Ecco la singolare iscrizione rimata dalla quale si rileva la notizia citata:

Del prezzo deglebrei perloro erore

Ferno a laude di Dio fare questa gli Otto

Sedẽte nel 18

Domenico Parigi qui Pretore

11 La chiesa di Santa Maria a Ripa, o a Empoli Vecchio, e oggi parrocchia annessa ad un convento di Minori Osservanti. Possiede tuttora altre opere di terra cotta di fabbrica Robbiana.

12 Vi sono gli stemmi di una famiglia Martini di Empoli e questa iscrizione :

Dñus Antonius Johis de Empulo Bte

Marie Majoris prior et canonicus florentinus

MCCCCLXVII.

dal sito web di Paolo Pianigiani


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